Manolìn

Liberamente tratto da “Il vecchio e il mare”

Autore: Ernest Hemingway

Adattamento testo, regia e interpretazione: Michele Pirani

Produzione: Astrifiammanti aps

Trama

Manolin è tornato. Dopo anni lontano dal villaggio, dalla miseria, dal mare, ha lasciato L’Avana e la sua nuova vita per prendersi cura del vecchio Santiago, il pescatore che lo ha cresciuto come un figlio. Un vecchio testardo, incapace di adattarsi ai tempi, sempre ancorato ai suoi ricordi e alla sua ostinazione. Un vecchio che ora, consunto dalla vita e dalla solitudine, ha bisogno di lui.
Ma cosa significa davvero tornare? È solo un atto di pietà o un richiamo più profondo, un legame che non si spezza? Manolin si prende cura di Santiago, discute con lui, lo accudisce e lo rimprovera, mentre ogni gesto lo trascina indietro nel tempo, fino a quando era un bambino e imparava l’arte della pesca sulle stesse acque. Il passato si confonde con il presente, i vecchi rancori si mescolano alla nostalgia, e nel sottofondo il mare continua a respirare, costante e inesorabile.
E quando Santiago muore, Manolin rimane. Potrebbe tornare alla sua famiglia, ai suoi affari, alla vita che si è costruito lontano da quel villaggio di pescatori. Ma resta. Resta in un’agonia silenziosa, prigioniero di quel posto, del suo stesso passato, incapace di lasciarlo andare.
E allora racconta. Racconta l’unica storia che ancora ha senso. La storia del vecchio e della sua lotta contro il mare, contro il gigantesco marlin, contro la sua stessa sorte. Una storia che Santiago ha raccontato per tutta la vita, fino allo sfinimento, come un uomo che si aggrappa a quell’unico istante in cui ha sentito di esistere davvero.
Ma Manolin racconta anche la sua, senza nemmeno rendersene conto. Perché il vecchio e il mare non erano mai stati solo di Santiago. Erano anche suoi. Forse lo sono ancora. E forse, in fondo, lo saranno per sempre.

Perché portarlo in scena

“Manolin” non è solo la storia di un vecchio pescatore e del suo giovane allievo, ma la storia di tutti i rapporti maestro-discepolo, di ogni sapere che si trasmette con fatica, resistenza e, a volte, dolore. Perché il sapere non è mai neutrale. Si eredita con il corpo, con i gesti, con le abitudini che diventano parte di noi prima ancora che possiamo scegliere. Si riceve, ma spesso si paga un prezzo. Si apprende, ma non sempre si può lasciare indietro. Metterlo in scena significa rendere visibile il peso di ciò che impariamo e la lotta per farlo nostro, senza esserne schiavi. È un monologo asciutto, essenziale, che restituisce la durezza e la bellezza di una trasmissione del sapere che non avviene nei libri, ma nelle mani che tirano una lenza, negli occhi che scrutano il mare, nella voce che ripete sempre la stessa storia. Perché in scena, la memoria si fa presente. E quando Manolin racconta l’ultima storia di Santiago, racconta anche la sua. E la nostra.